Figli: la fatica dell’ambivalenza

Figli: la fatica dell’ambivalenza

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La vita è fatta di fasi e cicli, dalla nascita alla morte si attraversano cambiamenti ambientali, fisiologici, psicologici.
Nella vita di alcune persone arrivano i figli. Che possono essere desiderati o non desiderati. In ogni caso, la nascita dei figli segna un cambiamento totale nella mente e nell’assetto organizzativo di una persona. Diventare genitori oggi, dopo 50 anni di modelli sociali individualistici e basati sulla cultura della produttività e del tempo libero, è molto diverso che in passato.

Un genitore deve fare spazio dentro di sé e fuori di sé, deve rivedere la propria organizzazione di vita, ridiscutere le priorità, attivare meccanismi di gestione quotidiana totalmente differenti rispetto ad una vita senza figli. E questo fa nascere sentimenti che sono estremamente ambivalenti.

Essere genitori è l’arte di contenere le ambivalenze.

Nella vita reale cosa cambia con i figli?

  1. Il primo fattore che cambia totalmente è il TEMPO.
    Prendersi cura di un bambino richiede, per il primo anno, un tempo quasi esclusivo, le esigenze da gestire sono tante e le giornate non si allungano. E’ necessario rinunciare a molto e saper rimandare tutto ciò che non è strettamente necessario. Qui spesso nascono i primi conflitti sia interiori, che nella coppia genitoriale.
    Uscire di casa al mattino senza figli è questione di minuti. Con un figlio di mezz’ore o ore.
    Quando i figli crescono hanno comunque bisogno di molto tempo, di essere visti, educati, gestiti. Raddoppiano le scelte da fare, gli impegni, le attività sociali per loro. Si assottiglia il tempo dedicato alle attività piacevoli del genitore. La quantità di cose che si devono fare per i figli è enorme, il che rende la gestione domestica un lavoro perpetuo, un perenne riordinare, fare lavatrici, cucinare.

  2. Poi c’è lo SPAZIO.
    Spazio che è fisico: la casa viene invasa da oggetti, giochi, colori, costruzioni.
    Ma lo spazio che deve cambiare è soprattutto mentale, perché i bambini hanno bisogno di essere costantemente visti e pensati, dalle taglie dei vestiti che sfuggono, ai giochi adatti per le varie età, dai compiti, alle attività sportive.
    Crescono e cambiano in fretta, vanno osservati e compresi; tutte le altre incombenze di vita vanno incastrate in uno spazio mentale più stretto.
    Si ha quindi meno tempo per riflettere, per leggere, per aggiornarsi. Ma si hanno anche meno energie mentali, meno attenzione.

I figli quindi aggiungono lavoro e tolgono: tempo, spazio, sonno. Anche il sonno mancante è causa di un affaticamento cronico, ne ho parlato in un articolo sull’insonnia per procura.
Eppure l’immaginario comune si focalizza su un’idea di genitorialità felice e gonfia d’amore. Per i genitori di oggi, trovare spazi per parlare onestamente del proprio vissuto può essere complicato.

Dagli anni ’90 il marketing ha creato una narrazione surreale della vita con i bambini, fondata su una visione del tutto sbilanciata in positivo, utile per vendere oggetti e prodotti. Ma la rappresentazione pubblicitaria e felice del diventare madri o padri mostra solo una piccola parte della realtà. Spesso nemmeno la più vera.
Aggiungiamo a questo lo stile di eccessivo perfezionismo e orientato solo alla performance che caratterizza la società contemporanea, si ottiene una combinazione di elementi che incastrano le persone in una dinamica di facciata, dove le emozioni e le parti negative vengono evitate ed eluse. Ma a che prezzo?

Quando un genitore comunica onestamente la sua fatica, il messaggio che spesso riceve in cambio oggi è:
hai voluto la bicicletta, pedala!”, oppure “potevi pensarci prima di farli”.
Queste risposte banalizzanti sono controproducenti.
Chi ha figli sa benissimo che è sua responsabilità prendersene cura. Ma la quantità di richieste che ricadono oggi sui genitori è altissima, il welfare per le famiglie italiane è misero, quindi non potersi nemmeno lamentare tra adulti rende il tutto ancora più pesante e solitario.

La gioia dello sguardo di un figlio è spesso ancorata alla stanchezza dello sguardo del genitore. Entrambi questi sguardi hanno valore e dignità.

Per contenere i sentimenti ambivalenti e contrastanti della genitorialità bisogna poterne parlare. Si deve dare voce, validare, parlare di tutta la gioia e l’entusiasmo che i bambini ti danno, ma anche delle frustrazioni per tutto quello che tolgono.

Dove releghiamo queste frustrazioni per non farle ricadere sui bambini?
Come fare per evitare che il carico extra che un genitore deve gestire non diventi urla, rabbia o nervosismo perenne in casa e verso i figli?

Il primo modo per non essere travolti dalle emozioni è accoglierle e validarle, quello che non viene accettato infatti crea un conflitto ulteriore, con sensi di colpa e di inadeguatezza, che non fanno bene a nessuno.
Quindi è davvero importante che tutti gli operatori dell’infanzia: ostetriche, psicologi, educatori e pediatri sappiano creare spazi di ascolto onesto e aperto.
Lontano dal perbenismo o dal fastidio che le emozioni negative suscitano: un genitore che si sente accolto e ascoltato si rilassa, parlare stempera l’eccesso di frustrazione.

Il secondo modo è cambiare la narrazione della maternità e della genitorialità, imparare ad essere meno legati all’apparenza, al perfezionismo e più attenti alla sostanza.
Una collega che si occupa di neomamme, Irene Bernardini, ha scritto nel suo libro “Anche una mamma nasce”:

C’è una compagna dei tuoi giorni da madre: quella fatica disarmante e dilagante. La stanchezza è inevitabile. Sei sempre in gioco, ventiquattro ore al giorno.

Questo stato di stanchezza cronica condiziona l’umore, l’energia, le emozioni. Non si può eludere o evitare. Non si può pensare di essere immuni a questo carico extra di fatica. Questa fatica c’è, piaccia o meno, va accolta, accettata, gestita, integrata.

E’ faticoso passare da una vita costruita a propria misura, a una vita dove si perde la misura.

Allora è d’aiuto ricordare che il “buon genitore” non è quello sempre felice di essere genitore. E’ quello che, da adulto, sa contenere le emozioni ambivalenti di questa esperienza di vita, è colui che sa integrare l’amore e l’esasperazione, la fatica e la tenerezza.
Che può condividerle tra adulti con sincerità, ironia e benevolenza.

Autore: Nicole Adami

 

 

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